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Cara mamma, caro papà, non ti voglio più vedere

Homepage Area Psicologia e dintorni Alienazione Cara mamma, caro papà, non ti voglio più vedere

Cara mamma, caro papà, non ti voglio più vedere

Mauro Lami
19 Gennaio 2025
Alienazione, Disturbi relazionali (PAS), Tribunale Ordinario, Figli

Interessante articolo trovato in rete su https://www.vita.it/

Il rifiuto genitoriale è un fenomeno sottovalutato, ma che a volte accompagna le separazioni e i divorzi, con gravi conseguenze psicologiche. Ordine degli Psicologi del Lazio e Tribunale di Roma hanno messo in campo un intervento basato su ascolto, tempestività e sinergia

Psicologi e giuristi insieme, per cercare di riparare o evitare tempestivamente la frattura tra un figlio (o una figlia) e uno dei genitori: la sinergia sperimentata nel Tribunale Ordinario il di Roma è stata recepita dalla cosiddetta Riforma Cartabia (Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150), per affrontare una problematica significativa e diffusa, eppure troppo spesso sottovalutata nei casi di separazione e divorzio: il rifiuto genitoriale.

Nelle separazioni, soprattutto in quelle altamente conflittuali, capita che ci sia un rifiuto immotivato di un figlio verso un genitore. L’esclusione di un genitore dal contatto affettivo con i figli è qualcosa di cui le prime vittime sono proprio i minori rifiutanti, che si auto-deprivano di quel contatto affettivo. Questa condizione, secondo i clinici, genera nei bambini e nelle bambine che la vivono una tendenza che li porta a sviluppare, da adulti, problematiche psicologiche e relazionali a volte importanti.

Per questo motivo, negli ultimi anni, l’Ordine degli Psicologi del Lazio e il Tribunale di Roma hanno elaborato e sperimentato una proposta d’intervento, che si basa sulla collaborazione tra i professionisti e sull’ascolto del minore e dei suoi bisogni affettivi e di relazione: all’interno del procedimento giudiziario, in estrema sintesi, viene incardinato un intervento clinico, in cui psicoterapeuti specializzati accompagnano genitori e figli in un percorso di riavvicinamento, comprensione reciproca e possibilmente ricucitura della relazione. L’intervento (con le sue basi teorico-ciniche) è stato presentato nel volume “Prevenire e curare la relazione genitori-figli in situazioni di separazione o divorzio” (Franco Angeli).

Tra gli autori del libro, c’è Anna Lubrano, psicoterapeuta specializzata in ambito giuridico, la quale fa parte di quell’équipe di psicologi che, nel Lazio, aiuta il Tribunale di Roma ad affrontare nei tempi e nei modi migliori i casi di rifiuto genitoriale.

Perché è importante occuparsi di questo fenomeno?

Perché un fenomeno che, seppur poco diffuso rispetto ai numeri delle separazioni in generale, attiva moltissimo tutte le istituzioni. Si verificano infatti situazioni estremamente problematiche e complesse, che richiedono tante risorse, procedimenti giudiziari lunghissimi e spesso il coinvolgimento di più tribunali (per esempio il Tribunale per i Minorenni). Soprattutto producono una gravissima sofferenza, tanto nei bambini e nelle bambine quanto in entrambi i genitori.

Anna Lubrano, psicoterapeuta

Quali sono le cause del rifiuto genitoriale? È possibile individuare delle condizioni ricorrenti?

Di solito il denominatore comune è l’alta conflittualità, ma devono presentarsi una serie di condizioni, perché avvenga il rifiuto. Parliamo, voglio chiarirlo, di un rifiuto in situazioni dove non sono state riscontrate violenze né abusi, che invece spiegherebbero e giustificherebbero il rifiuto. In genere, si verifica quella che nel libro chiamiamo la “tempesta perfetta”: un insieme di circostanze che si intrecciano, non basta una sola causa a scatenare questa reazione. Sicuramente ci sono errori commessi da entrambi i genitori: discussioni umilianti, introduzione precoce di un nuovo partner, errori nella gestione della riorganizzazione familiare dopo la separazione, un contributo attivo nel conflitto delle famiglie d’origine o di terzi, la tardività degli interventi e delle istituzioni. Ripeto, però: non basta un errore, o una sola causa, a generare una reazione di rifiuto.

E quali sono invece le conseguenze?

Dal punto di vista clinico, le persone che incontriamo sono provate da una lunga storia di conflittualità, sia giudiziaria che emotiva. Questo vale innanzitutto per il genitore rifiutato: non sono rari i casi in cui il padre non vede il figlio da sette anni, vissuti con un crescente senso d’impotenza, che facilmente diventa depressione. Anche il cosiddetto genitore “allineato”, però, spesso sviluppa un forte malessere: un senso di persecuzione da parte delle istituzioni o dai professionisti incaricati di intervenire, unito al senso di colpa e alla timore di essere accusato di essere responsabile dell’atteggiamento del figlio o della figlia. Un vissuto di ingiustizia e non ascolto accomuna tutti, figli compresi.

In estrema sintesi, in cosa consiste la proposta d’intervento che avete messo a punto?

In presenza di una condizione di rifiuto genitoriale immotivato, il tribunale oppure le parti possono richiedere l’intervento e la presa in carico da parte dell’équipe specializzata, come prevede il punto 26 della norma Cartabia. Il giudice nomina quindi, con l’accordo delle parti, il professionista che coordinerà questo intervento, relazionando al tribunale. Si avvia così un vero e proprio intervento, che non ha lo scopo di valutare, ma di ricucire il legame e riavviare la comunicazione tra i genitori. Il professionista può strutturare l’intervento come ritiene sia meglio e attingere alle tecniche terapeutiche che ritiene più opportune: per esempio, può lavorare prima con la coppia e poi con il minore, oppure viceversa. In genere suggeriamo che i professionisti clinici siano due, uno più attivo con il minore e l’altro più attivo con il nucleo familiare. Un elemento caratteristico e imprescindibile è la stretta interrelazione e la rispondenza con la magistratura: a differenza di altri interventi, infatti, questo è direttamente incardinato nel processo, ne è parte integrante. Questo tipo di intervento, che abbiamo proposto e sperimentato nel nostro territorio, è stato recepito a livello nazionale nella riforma Cartabia: in particolare, l’articolo 473-bis, introdotto dalla riforma, ha conferito al giudice poteri più rapidi e incisivi per garantire i diritti e il benessere dei minori, con un’attenzione e procedure particolari in caso di violazione dei diritti di visita o di rifiuto genitoriale.

di Chiara Ludovisi Fonte:

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