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N.8754/11 – Divorzio: se il marito va in pensione, l’assegno di mantenimento alla ex moglie va ridotto

Homepage Area separazione e divorzio Mantenimento N.8754/11 - Divorzio: se il marito va in pensione, l’assegno di mantenimento alla ex moglie va ridotto

N.8754/11 – Divorzio: se il marito va in pensione, l’assegno di mantenimento alla ex moglie va ridotto

Redazione
26 Aprile 2011
Mantenimento

imagine_tribunaleQuesto è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8754 del 15 aprile 2011 L’art.· 9 della Legge n. 898/1970 consente infatti la revisione delle condizioni di divorzio relative, tra l’altro, ai rapporti economici per sopravvenienza di “giustificati motivi”.

I motivi sopravvenuti che giustificano la revisione dell’assegno di divorzio, ben possono consistere in mutamenti delle condizioni economiche e dei redditi dell’uno, dell’atro o di entrambi gli ex coniugi, da valutare bilateralmente e comparativamente al fine di stabilire se detti mutamenti abbiano determinato l’esigenza di un riequilibrio delle rispettive situazioni economiche. Di seguito il testo integrale della succitata sentenza. Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 1° febbraio – 15 aprile 2011, n. 8754 Presidente Luccioli – Relatore Giancola Svolgimento del processo Al fine di ottenere, in revisione delle condizioni del divorzio (sentenza n. 932 del 14.09.1990) dalla ex moglie M.E., la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile posto a suo carico ed ammontante all’epoca ad Euro 806,00 mensili, P.C. adiva il Tribunale di Padova che, con decreto dell’11-16.03.2005, reso nel contraddittorio delle parti, in accoglimento del suo ricorso introduttivo, stabiliva la cessazione della somministrazione, con assorbimento della domanda riconvenzionale della controparte, volta all’aumento della relativa entità. Con decreto del 15 maggio-25 luglio 2006, la Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento del reclamo proposto dalla M. contro il decreto del Tribunale, dichiarava, all’esito dell’espletata istruttoria, ancora dovuto dal P. l’assegno divorzile in questione, rigettando ogni ulteriore e diversa domanda, inclusa quella della reclamante d’incremento dell’apporto, e compensando per la metà le spese processuali, poste per la residua parte a carico dell’obbligato. La Corte osservava e riteneva essenzialmente: che il P. aveva dedotto sia la modificazione peggiorativa della sua situazione reddituale, per effetto del sopravvenuto pensionamento, con conseguente sensibile riduzione dei suoi introiti, e sia la circostanza che la M. da oltre 21 anni conviveva con altro uomo, presso l’abitazione di questo. che di contro la M. aveva contestato il deterioramento della capacità contributiva dell’ex marito, affermando pure che lo stesso era titolare anche di cespiti immobiliari e di consistenti risparmi, nonché dedotto di non fruire di alcun reddito, di non potere contare su opportunità di lavoro, di essere soltanto nuda proprietaria di un immobile abitato dall’anziana madre, bisognosa di assistenza, ed ancora di non ricevere alcun aiuto economico dal partner, con cui non conviveva e che era dotato di limitate risorse, impiegate anche nel mantenimento dei suoi due figli maggiorenni con lui conviventi che il primo giudice aveva accolto la domanda di revisione del P. dando rilievo essenziale alla risalente convivenza more uxorio della M. , ritenuta connotata da stabilità, affidabilità nonché assistenza ed aiuto reciproco, si da essere assimilabile ad una famiglia di fatto, e sottolineando pure che era rimasta indimostrata l’impossibilità per lei di reperire mezzi adeguati che le acquisizioni probatorie intervenute in appello non apparivano supportare la configurazione del legame tra la reclamante ed il compagno in termini di convivenza, caratterizzata anche dalla gestione in comune delle rispettive risorse economiche per fronteggiare i costi di un nucleo sostanzialmente unitario, laddove invece era risultato trattarsi di relazione intrattenuta in termini di assoluta autonomia, anche economica, ossia di collaudata unione sentimentale che per lei non costituiva fonte effettiva di introiti, sostanziandosi in cooperazione alle necessità del nucleo familiare di lui, prestata in termini e con modalità variabili, senza continua e stabile coabitazione e condizionata anche dalle esigenze di lei di assistenza all’anziana madre, come tale insuscettibile di fare arguire che la M. beneficiasse delle risorse reddituali e patrimoniali di lui, non cospicue e comunque assorbite dalle esigenze di sostegno dei suoi due figli, maggiorenni ma non ancora economicamente autosufficienti, fruenti di occupazioni non continuative e modestamente retribuite, conclusioni che non si rivelavano contraddette da contrari elementi. che, inoltre, pur avendo le condizioni reddituali del P. risentito di un peggioramento conseguente alla sua opzione per il pensionamento, cui erano conseguiti introiti ben più contenuti rispetto a quelli pregressi, tuttavia lo stesso disponeva di cespiti immobiliari di una certa consistenza, suscettibili di produrre reddito, mentre l’ex moglie non traeva alcun introito dall’immobile in sua nuda proprietà, in cui per sua scelta, da ritenersi dettata da esigenze di sussistenza, conviveva con la madre usufruttuaria del bene, né la stessa ancora fruiva di alcuna pensione né poteva contare su prospettive occupazionali, che già in sede di divorzio e con riferimento al lontano 1983, epoca di cessazione della convivenza coniugale, erano state escluse per ragioni che da allora in poi e sino all’attualità non erano venute meno e anzi si palesavano ancor più attendibili e condivisibili. che, dunque, doveva essere tutt’ora riconosciuta la spettanza dell’assegno divorzile, nella misura già determinata, con gli aggiornamenti periodici, mentre il decremento dei redditi del P. non consentiva di incrementarne la misura come chiesto dalla M. . Contro la decisione della Corte d’appello il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La M. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione A sostegno del ricorso il P. si duole che le sue domande di revisione, proposte tanto in via principale che in via subordinata, siano state respinte, denunziando: 1. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 9 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 e sue successive modificazioni, nonché omessa ovvero comunque insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo ai fini del decidere”, formulando il seguente quesito di diritto ;”Si chiede alla Suprema Corte se, immutata la sostanziale situazione patrimoniale del coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno divorzile, la sopravvenuta riduzione della capacità reddituale di costui, a seguito di pensionamento, è suscettiva di assumere rilievo quale possibile giustificato motivo di riduzione o soppressione dell’assegno ex art. 5 e 9 L.898/1970”. Preliminarmente in rito va respinta l’eccezione della M. d’inammissibilità del motivo sia in riferimento al formulato quesito di diritto, posta anche l’irrilevanza della sua collocazione topografica (cfr Cass., ord., 200716002)(e sia con riguardo alla prescritta sintesi inerente ai denunciati vizi motivazionali. A tale riguardo il P. essenzialmente si duole, puntualmente anche richiamando le risultanze istruttorie che assume trascurate, che la Corte d’Appello di Venezia abbia ritenuto irrilevante ai fini della soppressione o, quanto meno, della riduzione dell’entità dell’assegno divorzile, il sopravvenuto notevole decremento, dal dicembre 2003, dei suoi introiti mensili, sostanzialmente dimezzati, in conseguenza del suo collocamento in pensione, argomentando il giudice del gravame in ragione dei cespiti immobiliari di cui l’esponente risulta titolare ed omettendo, tuttavia di considerare che il suo patrimonio immobiliare è sostanzialmente immutato rispetto a quello di cui era titolare all’epoca della cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con la M. , dal momento che successivamente è divenuto solo comproprietario pro indiviso, per quota pari al 50% di due terreni d’indole agricola, siti in Capannori, ed aventi un assai modesto reddito. La censura è fondata, posto anche che l’incensurabilità in sede di legittimità delle valutazioni compiute dal giudice di merito non esclude il controllo di legalità sul modo e sui mezzi adoperati al fine di rendere possibile la verifica sul processo logico seguito per accertarne sufficienza e coerenza. A tale esigenza non risponde il decreto impugnato che in effetti avendo accertato la consistente riduzione degli introiti mensili del P. , correlata al suo pensionamento, ha escluso che essa potesse assumere rilievo quale sopravvenienza atta ad incidere sulla revisione dell’assegno divorzile, chiesta ai fini estintivi o riduttivi di tale apporto, e ciò sulla base di considerazioni riferite al rapporto tra le condizioni di ciascuna delle due parti, senza chiarire però, tramite l’indicazione specifica degli elementi a sostegno della decisione, perché il divario ritenuto esistente in danno della M. al tempo del divorzio dovesse rimanere insensibile anche all’intervenuto mutamento peggiorativo della condizione economica dell’obbligato. In tale modo l’impugnato decreto appare pure discostarsi dal principio secondo cui in tema di revisione dell’assegno di divorzio, la sopravvenuta diminuzione dei redditi da lavoro dell’obbligato è suscettibile di assumere rilievo, quale possibile giustificato motivo di riduzione o soppressione dell’assegno, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, nel quadro di una rinnovata valutazione comparativa della situazione economica delle parti (cfr Cass. 200605378) 2. “Omessa ovvero comunque insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo ai fini del decidere: la convivenza more uxorio tra E..M. e A.R. “. 3. “Omessa ovvero comunque insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo ai fini del decidere: l’assistenza di tipo coniugale da parte del convivente A.R. “. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono inammissibili, giacché le dedotte censure di omessa, insufficienza e contraddittorietà della motivazione non risultano contenere, in violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., un successivo momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) dei rilievi, che ne circoscriva puntualmente i limiti (cfr Cass. SS.UU. 200720603; 200811652;200816528) e che, al pari del quesito di diritto (cfr Cass. SU 200919444), non può essere tardivamente formulato nella memoria illustrativa, depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione con il ricorso introduttivo. Conclusivamente si deve accogliere il primo motivo del ricorso nei precisati limiti, dichiarare inammissibili il secondo ed il terzo motivo e cassare in parte qua il decreto impugnato, con rinvio alla corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo del ricorso, cassa in parte qua l’impugnato decreto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

Tags: Corte di Cassazione 2011
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